domenica 30 novembre 2014

Le uova di tonno (bottarga)





Il loro procedimento di lavorazione venne descritto dettagliatamente dal duca d’Ossada nel lontano 1816. «Da allora è rimasto immutato», assicura l’esperto salatore milazzese Domenico Vitale. Le fasi di lavorazione descritte dall’aristocratico duca milazzese, proprietario della Tonnara di S. Giorgio di Gioiosa Marea e condomino delle Tonnara Grande del Porto di Milazzo e della Tonnarella di Vaccarella, trovano infatti applicazione ancor oggi, nella storica Pescheria di Milazzo. L’ova ‘i tunnu (bottarga), vera e propria prelibatezza della gastronomia locale, vengono grattugiate sulla pasta oppure tagliate a fettine da servire come squisito antipasto. 

 IL VIDEO




 Uova di tonno fanno bella mostra, assieme alla ventre di tonno, nella pescheria Il Norvegese di Stefano Vitale, nella foto qui sopra in mezzo accanto al padre Domenico, l'esperto salatore milazzese cui dobbiamo alcune delle informazioni qui riportate.



«La loro lavorazione ha inizio a giugno», ricorda Domenico Vitale, che aggiunge: «impiegando un imbuto si riempie ciascun uovo dall’alto con salamoia (sale grosso e acqua), avendo cura di palpeggiare per bene l’uovo in modo tale da far scorrere la salamoia al suo interno. Si lascia quindi riposare il tutto per 24 ore, trascorse le quali si fa uscire la salamoia precedentemente introdotta, strofinando successivamente ciascun uovo col sale grosso. A questo punto le uova vengono poste sotto peso, nel gergo milazzese si dice “sotto carica”, o in batteria, impiegando due grandi tavolacce, oppure singolarmente entro apposite cassettine. Per una decina di giorni alle uova, così sistemate, viene a giorni alterni sostituito il sale: quello usato viene infatti rimpiazzato da sale nuovo, col quale si strofinano l’ova ‘i tunnu. Terminata questa fase, le uova vengono lasciate sotto carica, senza subire nessun trattamento, per altri 40 giorni, terminati i quali vengono sottratte dal peso delle cariche (di norma pietre e/o sacchi di sale) ed appese ad essiccare per un periodo che oscilla dai 20 ai 40 giorni, a seconda delle dimensione delle singole uova: più sono sono grandi, più lungo sarà il tempo necessario per la loro essiccazione.  In autunno le uova così preparate sono già pronte per essere commercializzate». 


La bottarga grattugiata sulla pizza, in una ricetta di Marcello Esposito (a destra), 
ristoratore milazzese di orgini campane.


Un procedimento che corrisponde quindi a quello descritto nel 1816 dal duca d’Ossada, il quale non manca altresì di descrivere le singole fasi di macellazione del tonno. Trasferiti a terra dai palischermi, i tonni venivano infatti sottoposti alla lama affilata della mannaia, tagliando la grassa golilla, ossia la punta delle surre posta in prossimità della gola. La golilla veniva destinata alla salatura. Successivamente, impiegando la stessa mannaia, i tonni oltre un quintale di peso venivano decapitati ed appesi per la coda nella loggia (appiccatoio), dove in primo luogo venivano sciacquati con acqua di mare. Tra il prelievo della golilla e la decapitazione con la mannaia c’era una fase intermedia, ossia lo sventramento del tonno, che dunque veniva scogliato - per dirla con le parole del duca d’Ossada - ad opera di un marinaio che con un coltellaccio si metteva a cavallo del tonno, aprendolo a poco a poco per prelevare le interiora (anchiùma nel dialetto milazzese): «apre il tonno dalle sorre fino all’ombelico: leva dalla pancia l’inchiuma, così chiamati gli uovi, li lattumi, ventri e budella». Operazione eseguita da colui cui spettava scogliare il tonno, «termine che si dà per questa operazione, e si chiama scogliare li tonni, vale a dire aprirli e levare l’inchiuma da ha dentro». Un termine, scogliare, che pare essersi perduto nel tempo, oggi infatti i rigattieri milazzesi usano piuttosto la parola svintrari o piuttosto sfugghiari (sfogliare). Forse sfogliare è la proprio la corruzione di "scogliare". E' certo, comunque, che lo sventramento doveva essere eseguito da persona abile e competente, onde evitare che durante il taglio potessero danneggiarsi le interiora, che al contrario andavano prelevate integre.

Marinaio a cavallo del tonno per nèsciri anchiùma
ossia per prelevare le interiora, tra cui l'uovo di tonno
(Tonnara del Tono - Milazzo, anni Cinquanta,
fonte Li Greci, Berdar, Riccobono, Mattanza, GBM, Messina 1991)


 Decapitazione del tonno con la mannaia
(Tonnara del Tono - Milazzo, anni Cinquanta,
fonte Li Greci, Berdar, Riccobono, Mattanza, GBM, Messina 1991)



 Lavaggio del tonno appeso nell'appiccatoio (loggia) dopo la decapitazione
(Tonnara del Tono - Milazzo, anni Cinquanta,
fonte Li Greci, Berdar, Riccobono, Mattanza, GBM, Messina 1991)


 Appiccatoio della Tonnara del Tono di Milazzo, dopo l'abbandono
(Massimo Lo Curzio, L'architettura delle tonnare, Edas, Messina 1991)







Proprio durante questa fase si prelevavano nelle tonnare milazzesi le uova di tonno, opportunamente salate ed essiccate come ricorda minuziosamente lo stesso duca d’Ossada. Le uova, così come le ventri e le budella, ma anche il lattume, venivano consegnate dallo sventratore ad una persona di fiducia di padroni e rais, il capoguardia della ciurma, il quale a sua volta avrebbe consegnato le preziose interiora destinate a diventare bottarga da commercializzare «nel magazzino al curatore degli uovi, il quale li mette in sale nelle tine e poi, l’indomani, si levano dal sale e si situano sopra tavoloni fatti all’intorno del magazzino destinato per questo genere, con mettere sopra le dette tavole delle pietre per la carica: si fa uscire tutta l’acqua e l’umore che hanno dentro e di giorno in giorno si pulizzano, si mette nuovo sale e nuova carica per ridurle al proprio stato di perfezione; e quando poi sono bene induriti si levano dalla carica e legati a due si mettono nelle corde, a tale effetto situate in un magazzino per asciuttarli;  e questi uovi si vendono a tarì 12.10 ed otto il rotolo secondo sarà la pesca di quell’anno».


La mannaia impiegata a Milazzo tra le due guerre mondiali 
nella Tonnarella di S. Lucia di Stefano Del Bono



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